L’arte di vincere – Recensione

Ispirato ad una storia vera. Siamo nel 2002, Billy Beane (Brad Pitt) è il General Manager di una squadra di baseball californiana, gli Oakland Athletics,  che, rimasti senza soldi, devono però costruire il nuovo team. Beane decide di affidarsi alla matematica, e complice un obeso nerd, laureato a Yale (Jonah Hill), acquisterà i giocatori che nessuno vuole, affidandosi al responso delle analisi statistiche, convinto che la somma di più talenti, può sostituire un campione. Candidato a sei Oscar, compreso miglior film, NON è il solito film “sportivo” sul logoro schema, perdita-vittoria-riscatto, bensì, grazie all’intelligente sceneggiatura di Sorkin (The Social Network) e Zaillian (Schindler's list) diventa una lode per chi ha il coraggio di pensare “diverso” e insegue con forza le proprie idee. Abile la regia di Bennett Miller (Capote), che passa ¾ di film chiusa in uno stadio, evitando i soliti luoghi comuni, e dando più spazio a chi sta dietro le quinte, e non a chi è sul campo. Come ripete spesso il protagonista “Il baseball è uno sport romantico”, e nell’ultima parte la pellicola ha qualche lungaggine e un po’ di gratuito sentimentalismo, ma rimane un dignitoso e onesto prodotto, mai  banale. Onore al merito a Brad Pitt, come interprete ma anche come produttore, sia per questo film, che per il capolavoro “The Tree of Life” di  Terrence Malick, dimostrando di credere in ciò che fa, mettendoci talento e soldi. VOTO 6/7

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