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Visualizzazione dei post da 2011

The Artist - Recensione

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Ascesa e caduta di un divo del muto anni '20, George Valentin (Jean Dujardin), charmant e dotato di sorriso sfavillante, viene però travolto dall'avvento del sonoro, e schiacciato da un ostinato orgoglio, cade in disgrazia, sarà sostituito dalla giovane Peppy Miller (Bérénice Bejo), neo star, con cui ha uno sfuggente flirt. Non solo omaggio, ma vero e proprio film muto, sia nel formato 4:3, che nelle didascalie a supporto dell’assenza di dialoghi. Un progetto ambizioso, a rischio calligrafismo, diretto però con passione e cura per il dettaglio dal francese Michel Hazanavicius, che con elegante leggerezza e ironico brio sfugge le trappole del melò grazie anche al comparto tecnico di prim’ordine: l’ intenso bianco e nero della fotografia, musiche che enfatizzano le emozioni e un uso intelligente del sonoro. Una pellicola permeata di raffinata nostalgia e vivace espressività, piena di felici intuizioni, che ricorda Charlie Chaplin, ma anche l’Orson Wells di Quarto Potere. Un ci

Enter the void - Recensione

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Il ventenne Oscar e la sorella minore Linda vivono a Tokyo. Lui è un pusher, mentre lei lavora come lap-dancer in un strip-club, finché lui non viene ucciso in un imboscata; ma quella che sembrava la fine, si rivela un inizio. Già dai furiosi e psichedelici titoli di testa, effetto allucinogeno, lo spettatore è aggredito e provocato. Seguono due ore e mezza, quasi tutte in soggettiva “estrema” (lo schermo si annerisce quando il protagonista chiude le palpebre), con piani sequenza interminabili, e ripetitivi voli pindarici di camera a gru, su una Tokyo all’acido (colorata, ma tetra), in cui la macchina da presa vola sopra i personaggi come l’anima fluttuante del defunto. Come non bastasse, il montaggio colleziona immagini crude: zoomate immersive su feti abortiti, orge luminescenti, penetrazioni che fondono anima e coito (sic!), davvero troppo….Un opera coraggiosa ed esteticamente potente, ma fragile nell’impianto narrativo, spesso non all’altezza dei temi forti trattati, eccessiva e

Midnight in Paris - Recensione

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Gil, sceneggiatore di Hollywood, interpretato da un Owen Wilson che “fa” Woody Allen, cerca ispirazione per un romanzo nella capitale francese, soffocato da una compagna superficiale (la smorfiosa Rachel McAdams), biasimato dagli stolti suoceri repubblicani e denigrato da un intellettuale pedante, a mezzanotte accetta il passaggio di una vecchia Citroen e come per magia si ritrova negli anni '20 della Ville Lumière, incontrando Matisse, Dalì, Picasso, Hemingway, Scott Fitzgerald e un giovane Buñuel, a cui suggerisce la trama de L'angelo sterminatore. Allen nella sua tournée europea (Londra, Barcellona, Parigi) ripropone struttura e personaggi del suo cinema, assorbendo però la sensibilità nostalgica e l’atmosfera retrò del vecchio continente, giocando con l’imponderabile delle due dimensioni: sogno e realtà, passato e presente. Il caustico pessimismo degli ultimi lavori (Basta che funzioni, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni) lascia il posto a un fiabesco disincanto, che fond

Faust - Recensione

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Un incipit, quasi fantasy, con soggettiva mozzafiato, che accarezza le nuvole, scopre un allegorico specchio, e domina il cielo, per passare senza indugio al primo piano del pene di un cadavere, seguito dalla sua cruda autopsia: da un paradiso che non esiste, all’inferno in terra, dall’epica al grottesco, in pochi secondi. Sorprende da subito il Faust di Aleksandr Sokurov, Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia, sia per la forma, con un schermo ridotto a 4/3, che per la sostanza, con una rilettura, liberamente ispirata (si capirà poi quanto), dal capolavoro di Goethe. Il protagonista ha una viscerale brama di conoscere, ma la sua stessa infelicità è nutrita dal dubbio intellettuale, cerca l’anima, ma è soggiogato dagli istinti primari: fame, avidità, lussuria; Satana (qui è un usuraio) però non fa nulla per indurlo in tentazione, se stesso è causa del proprio male. Un mondo sudicio, che il regista deforma con l’uso di filtri, virandone i colori, illuminato da un giallo-verde put

Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno - Recensione

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Dal fumetto al film 3D, passando per Indiana Jones: grazie a Spielberg, la creatura di Hergé arriva al cinema con un’opera vintage che non tradisce lo spirito dell’originale, omaggiandone la fantasia e il gusto per l’avventura. Una storia fluida e piena di ritmo, che il regista conduce con mano sicura ed esperta, dando giusto risalto al protagonista, ma senza dimenticare l’importanza (e la psicologia) dei personaggi di contorno. Comparto tecnico di gran livello: un 3D finalmente “onesto”, luminoso anche nelle scene buie, e vivido in quelle d’azione, che permette una maggior immersione; una motion capture strabiliante, con personaggi CGI espressivi (magnifico il Capitano Haddock), dalle cui movenze si percepisce la fisicità degli attori, e ambienti ricercati, con una cura maniacale per il dettaglio. Un bel film d'animazione, ispirato e ricco d’inventiva, leggero ma mai banale, con dialoghi brillanti, gag spiritose, duelli spettacolari e incredibili piani sequenza: cinema di pur

Melancholia - Recensione

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Una pesante minaccia grava sulla Terra, si tratta del pianeta Melancholia, la percepisce da subito Justine (una brava Kirsten Dunst), nel giorno del suo matrimonio, colta da una subitanea depressione che diventa cronico mal de vivre e rassegnazione nichilista; viceversa, la sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) più razionale, sprofonda (anche fisicamente) nella disperazione, trascinata dai fardelli familiari. L’ouverture sinfonica wagneriana, sull’intensa forza pittorica di tableaux vivants al ralenti, proietta da subito lo spettatore verso un immaginario visivo e simbolico (il cavallo, il ponte, la grotta magica) decisamente ricco, per ritrovare poi il virtuosismo della camera mossa a mano e i fuori fuoco, veri leit motiv nella filmografia di Lars Von Trier. Un'opera affascinante, che trascina personaggi e spettatori in un crescendo di angoscia, tra atmosfere rarefatte in cui domina un potente realismo emotivo, e sequenze surreali in cui prevale l’assoluta mancanza di speranza.

Arrietty - Recensione

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Arrietty è uno gnomo che vive con la sua famiglia sotto la casa di Shuo, bambino umano malato, costretto a degenza forzata, e suo coetaneo; nonostante i diversi stili di vita e la difforme statura, faranno amicizia, imparando a fidarsi l’uno dell’altro. Giocato sui paradossi creati dai due punti di vista, rafforzati da sequenze suggestive, è un viaggio emozionale di scoperta e un inno poetico alla convivenza. Ricco di spunti di riflessione, c’insegna che bisogna capire il valore delle piccole cose prima di poter pensare in grande, ma è anche un invito al rispetto reciproco e al non aver paura nel confrontarsi col diverso, nel quale spesso ritroviamo noi stessi. Tenera e struggente favola, ed ennesima meraviglia dello Studio Ghibli, scritto da Miyazaki e diretto dall'esordiente Hiromasa Yonebayashi, un cartone animato vecchio stile, in cui storia, disegni, dialoghi, colori e musiche si fondono creando la ricetta perfetta per un film d’animazione. Una gioia per occhi, cuore e test

Drive - Recensione

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Prima opera sul suolo americano del talentuoso regista danese Nicolas Winding Refn, che per il suo debutto USA sceglie un tradizionale plot da crime-movie, aggiungendo una buona dose di sensibilità europea. Da subito riconoscibile la cifra stilista dell’autore, che propone con perizia, artistica e tecnica, quelli che ormai sono dei marchi di fabbrica, già notati nel sorprendente “Bronson” (assolutamente da recuperare). La violenza che esplode improvvisa, un uso emotivo della musica, preferibilmente anni ’80, da cui ruba il ritmo palpitante dei sinth, portandolo nel montaggio asciutto del film, inseguimenti compresi, mai fracassoni, ma essenziali ed efficaci, e una fotografia lucida, ma non patinata, che illumina una L.A. labirintica e vibrante, come nei migliori film di Michael Mann. Come in “Bronson”, in cui un folle Tom Hardy, ne è il mattatore assoluto, qui l’onore tocca ad un magnifico Ryan Gosling, bravissimo nel creare una maschera fredda, che con poche espressioni e una mimic

Carnage - Recensione

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Un esercizio di stile che ostenta l’origine teatrale, un cinico divertissement condotto con perfida maestria, ma anche gara di bravura attoriale in cui gli interpreti si sfidano a colpi di taglienti dialoghi e sboccati monologhi: una “straripante” Winslet, una Foster perfettina, a volte sopra le righe, superbamente viscido Waltz e perfetto beota Reilly. Quattro personaggi, che rappresentano la meschina ipocrisia di due coppie (piccolo) borghesi, che partono con le migliori – e civili – intenzioni, sorrette però da un falso perbenismo; la situazione precipita, innescando nevrosi e frustrazioni personali, che sfociano in una brutale cattiveria che mette a nudo tutta la miseria dell’animo umano. Affidandosi a una collaudata opera teatrale, Polanski si limita a riproporne la statica natura, senza aggiungere quel dinamismo, che lo strumento cinema e il talento di un maestro, dovevano creare. Ottimi attori, buon testo, regia troppo prudente. Cinema da camera o regia da esilio? VOTO 6,5

Super 8 - Recensione

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Scritto da Abrams, l’ideatore di "Lost", e prodotto da Spielberg, è un omaggio ai film d’avventura di e per ragazzi dei primi anni ‘80, che trovarono il loro punto più alto nella poetica favola di “E.T.” dello stesso Spielberg, e il loro epilogo nello struggente e magnifico “Stand by me” di Rob Reiner. Un cinema ormai vintage, sospeso tra avventura e fantascienza, ma anche romanzo di formazione capace di commuovere; ancor lontano dagli eccessi del digitale. Nella prima parte la regia sorprende per la sincera passione con cui dirige trama e personaggi (brava Elle Fanning), e tra sentiti citazionismi, ironia e buon ritmo, coinvolge divertendo. Meno efficace e riuscita la seconda parte, in cui le fedeli citazioni lasciano il posto a banali ricalchi (vedi il finale), mentre alla schietta semplicità delle storie anni ’80 subentrano certe ridicole banalità da sci-fi anni ’60, forse un po’ troppo datate e indigeste per lo spettatore 2011. Un’operazione nostalgia in cui le lodevol

The tree of life

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“The tree of life” di Terrence Malick merita e necessita almeno due visioni per essere assimilato, cosa che io ho fatto: dalla prima sono uscito ubriaco e pieno di dubbi, dalla seconda con la consapevolezza di aver assistito ad una delle opere più ambiziose e possenti della storia del cinema. Un progetto folle, a tratti ermetico, che porta all’estremo la sperimentazione registica, sia per come sfida i registri narrativi accostando micro (le tensioni di una famiglia) e macro (la genesi dell’universo), che per la cura maniacale della costruzione visiva, in cui convivono lirismo e naturalismo. Un saggio filosofico sul dualismo tra Natura e Grazia: la prima dà e toglie, con brutale fatalità, alla seconda, e su questa eterna lotta pesa il silenzio di Dio; ma anche un percorso soggettivo e universale, sospeso tra passato e futuro, tra ricordo e speranza, che chiude non a caso con l’immagine di un ponte. Un’ opera che, come suggerisce una delle battute del film, non va solo guardata, ma os

I 10 film più belli Stagione 10-11 – Classifiche

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Di seguito i 10 film più belli Stagione 10-11, secondo me. E voi che ne pensate?

Meek's Cutoff - Il sentiero di Meek - Recensione

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1845. Tre famiglie di coloni sono alla ricerca disperata di quella Terra Promessa dal mito della Frontiera. A guidarli fuori dalla strada maestra, attraverso una scorciatoia e un viaggio estenuante, la guida locale Stephen Meek (Bruce Greenwood). Ben presto però la carovana smarrisce la retta via e l’acqua scarseggia. Che fare? La regista Kelly Reichardt gira in 4.3, quasi un quadrato che accresce la profondità e amplifica distanze che diventano enormi...Ispirandosi a un fatto realmente accaduto la cineasta mischia polvere e speranza, concedendo tempi dilatati e lunghi silenzi, che consegnano allo spettatore pochissimi dialoghi ma molte sospensioni e suggestioni. Si noterà, poi, come nella disperata migrazione spicchi la figura femminile di Emily, impersonata dalla brava Michelle Williams , l’unica a mantenere un individualità critica di pensiero.

Kick ass - Recensione

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Un mix & match di cultura pop e violenza pulp, che stupisce per toni (sboccati), contenuti (scorretti) e per l’irriverente dinamismo, con cui prende a calci nel sedere gli schemi dei cinecomics. Un film, che proprio come il suo protagonista, trionfa grazie alla Rete: campione di download illegale e fonte di polemiche sui network americani per colpa dei suoi folli personaggi, eticamente ambigui e dal grilletto facile, tra cui spicca la memorabile Hit Girl. Meglio la prima parte da teen-comedy, che la seconda, più action e con ovvio riscatto, unite dalla spettacolare sequenza animata, disegnata da John Romita Jr. Un’opera eccessiva e a tratti sconcertante, ma anche vitale e attualissima, perché nell’era del WEB 2.0, basta un po’ di solitudine e un nickname, per diventare (super)eroi per caso. VOTO 6,5

Un gelido inverno - Recensione

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In una zona rurale tra i Monti Ozark, nel Missouri, prevalgono la violenza e l’omertà della più depressa e spietata provincia americana: una desolazione ambientale e umana, mostrata con estremo realismo, grazie ad una rigorosa messa in scena. Girato in digitale da una regista, Debra Granik, che, non a caso, riserva un ruolo chiave a tutte le figure femminili del film: se gli uomini rappresentano la causa, le donne ne sono il conseguente effetto/affetto, nonché fonte di riscatto. Protagonista, e assoluta rivelazione, Jennifer Lawrence, la cui risolutezza nei modi, la lucida fierezza nello sguardo e la forza di volontà, finalizzata alla sopravvivenza, colpiscono nel profondo; da segnalare anche la performance dell’intenso John Hawkes. Un dramma potente e disperato, che si dipana con passo lineare, ma inesorabile, evitando di scivolare in facili pietismi o nel melenso, un pugno nello stomaco dello spettatore, a cui viene svelata un’America, ben diversa dalle consuete immagini pat

Il grinta - Recensione

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Siamo nel 1870, Mattie Ross, una determinata e tenace ragazzina di soli 14 anni, vuole vendicare la morte del padre, per farlo ingaggia un ufficiale dell’esercito, ormai alcolizzato, ma ancora bravo con la pistola, a cui si aggiunge un cacciatore di taglie. Ottima fotografia, dell’immancabile Roger Deakins, e sorprendente cast, in cui svetta l’inedita e bravissima Hailee Steinfeld (Mattie), un Jeff Bridges (il grinta), un po’ troppo gigione, e un Matt Damon, sempre volenteroso. Per nulla intimoriti dal confronto con l’omonimo film del ’69 con John Wayne, i Coen portano sullo schermo una storia ricca di elementi classici e dalla progressione lineare, riscritta però, con brillante creatività, e condita con il consueto humour nero, che la rendono meno prevedibile e un po’ spaghetti-western. Una versione più moderna, con meno atmosfere crepuscolari e più ironia, che omaggia il genere, con poche, ma buone, concessioni all’epica, come nella suggestiva cavalcata notturna, sovrastata da un

127 ore - Recensione

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Un solo personaggio in un solo ambiente, un esercizio di stile che richiede molta abilità per poter “riempire” i 90’ minuti del film: cosa buona e giusta in questi casi, è lavorare di fino sulla sceneggiatura, sul protagonista, sulle azioni e le conseguenze della sua vita al limite; questo però, viene fatto solo in piccola parte. Un istrione dell’immagine come Danny Boyle, dovendo scegliere tra forma e sostanza, ha ovviamente optato per la prima, dando libero sfogo a tutto il suo virtuosismo tecnico e artistico: eccedente uso di split screen, scontati ralenti, e un uso funzionale/strumentale di una musica a dir poco eclettica, spesso troppo invasiva; se a questo si aggiunge pure una delle migliori scene della storia del cinema di product placement…Una buona fotografia, un ottimo James Franco e le scene dei ricordi di famiglia (che suonano false e poco coinvolgenti), purtroppo non bastano a sopperire all’ego smisurato del regista, che invece stempera le emozioni di una storia vera, c

Il cigno nero - Recensione

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Una sceneggiatura scontata che non risparmia nessuno dei luoghi comuni del genere: la danzatrice classica che aspira al ruolo da protagonista, una madre ex-etoile che riversa su di lei le frustrazioni di una carriera fallita, l’ex-prima ballerina in declino, l’amore con il coreografo, la rivale più bella, il riscatto finale. Non aiutano nemmeno le debordanti ambizioni filosofiche del regista, che uniscono materiale di cattivo gusto: gratuite scene lesbo, effettacci horror, scontati simbolismi con inattesi sprazzi di vero cinema: Aronofski muove con grande maestria la mdp a spalla, catturando tutta l’emotività della mirabile interpretazione di Natalie Portman, e il finale, in crescendo, non lascia certo indifferenti. Un’opera che mischia con troppa disinvoltura melò, thriller, musical, horror, e che lascia lo spettatore con troppi dubbi: è una potente riflessione sulla mutazione dell’identità nella società moderna o un eccessivo e pretenzioso saggio? Innovativo cinema d’autore o clam

Another year - Recensione

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Una regia che si concentra su spazio e tempo, mettendo in scena la normalità, di persone (non personaggi) che amano, soffrono e invecchiano, mentre la vita scorre inesorabile e silenziosa. Un linguaggio in cui ritroviamo i temi cari a Leigh: la famiglia, il rapporto tra genitori e figli, senza dimenticare la naturalezza nei primi piani. Una sceneggiatura densa di dialoghi realistici e intensi, senza patetici sentimentalismi o picchi drammatici, dietro (apparenti) vuoti di racconto, che invece si dipana ricco e profondo. Eccellente l'interpretazione di tutti gli attori, dalla coppia protagonista Tom e Gerri (evidentemente autoironica), la cui casa alla periferia di Londra è un rifugio per amici sfigati, a Mary (bravissima Lesley Manville), cinquantenne, vestita da ragazza, logorroica, alcolizzata, in attesa disperata di un amore, che non arriva mai. Il film offre allo spettatore numerosi spunti di riflessione e semina, con rara ambiguità, dubbi su quale sia il segreto della felic

La donna che canta - Recensione

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L'inizio è spiazzante, due gemelli si recano da un notaio di Montreal per la lettura del testamento della madre, oltre alle strane indicazioni su come essere sepolta, la donna lascia due buste che costringeranno i fratelli, in un doloroso viaggio, dentro e fuori, la storia e la memoria, individuale e collettiva. Racconto diviso in capitoli, che si snoda attraverso un montaggio con frequenti salti spazio-temporali, ricomponendo così i pezzi di un’esistenza segnata da violenze, orrori e segreti inconfessabili. Il regista Denis Villeneuve, con sguardo lucido e fermo, senza enfasi e facili pietismi, trascina lo spettatore in un crescendo emotivo che lascia senza fiato, e colpisce per intensità, testa e cuore. Interpretato da attori intensi ed espressivi, sui quali spicca la magnifica protagonista Lubna Azabal. Incalzante come un thriller, sorprendente come un giallo, ma soprattutto ottimo cinema d'autore: assolutamente da non perdere. VOTO 7/8

Il discorso del re - Recensione

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Ottimamente prodotto, con soli 15 milioni di dollari, eppur ricco, sotto molti punti di vista: dal comparto tecnico, perfetto e mai banale, ad una sceneggiatura brillante, attenta nel dosare garbata ironia british e impeccabile malinconia. Un cast artistico in gran forma: Colin Firth, che senza manierismi, trasmette, con elegante intensità, tutta l’insicurezza del personaggio, creando una forte empatia che spesso emoziona, un Geoffrey Rush che con grande istrionismo interpreta un “informale” logopedista australiano, e una (finalmente) misurata Helena Bonham Carter. Il regista Tom Hooper con sapiente perizia cesella luoghi e personaggi valorizzandone la storia, e facendo di necessità (visto il basso budget) virtù, con ampio uso di primi piani, grandangoli e, cosa inusuale per un film storico, la camera a mano, che gioca sinuosa coi contrasti degli ambienti, tra l’umido lanscape londinese e gli interni sobri, ma (non a caso) angusti. Una solida macchina da Oscar, a cui però, manca l’o