Arancia meccanica - Capolavoro


Arancia meccanica è un film del 1971 diretto da Stanley Kubrick, e tratto dall’omonimo romanzo. Anthony Burgess, scrisse il libro nel 1962, fuori di sé dopo lo stupro subito dalla moglie, conferendo così all’opera una forte valenza catartica. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, fu aspramente attaccato da stampa e politica, che gridarono alla censura, mentre in Inghilterra, per volontà dello stesso regista, venne addirittura proibito, fino alla sua morte nel 1999: ma la circolazione di copie pirata ne alimentò il mito. Storia: Alex Delarge (Malcom McDowell), è una giovane “faccia da schiaffi” che insieme alla sua banda di amici, chiamati “i drughi”, di notte si dedica a rapine, stupri e a picchiare i barboni. Arrestato e messo in prigione, è sottoposto a un trattamento d’urto per renderlo inoffensivo. Una volta uscito, lui sarà cambiato…ma il mondo no, e a vincere sarà sempre, e purtroppo, la legge del più forte. Da notare che in questo potenziale futuro distopico, i problemi sono gli stessi di oggi: la violenza (ora cyber) giovanile, l’assenza genitoriale, l’omologazione sociale e intellettuale. Il personaggio principale però non è aggressivo perché povero, ignorante ed emarginato, ascolta Beethoven e frequenta i locali più alla moda come l’upper-class; forse è proprio questo ad aver disturbato il pubblico dell’epoca. Il fatto di associare poesia e bassi istinti, elementi artistici “alti”, come la musica classica di Rossini o dei migliori musical, a scene di brutale “ultraviolenza”, sconvolse le platee. Inoltre, Kubrick non prende mai posizione, e il suo sguardo non giudica nemmeno le scene più forti, anzi ci spiega che il protagonista è la vittima di un sistema, più interessato a salvarsi la faccia.

Alex è trasformato in un vegetale-macchina, appunto un arancia meccanica, che verrà esibita su un palcoscenico teatrale come nella prima scena di violenza dei Drughi, a sottolineare l’inutilità e circolarità del percorso. La cura inflitta a Delarge è più focalizzata sui suoi occhi, che sulla sua mente, non a caso si conclude con un tentato “zoom-suicidio” in soggettiva. Lo Stato spende quindi per alterare la visione a favore delle autorità e non del benessere psico-fisico. Le istituzioni sociali ne escono a pezzi, anche perché commettono l’errore di voler reprimere la natura dell’uomo, anziché guidarla. Nella seconda parte religione, scienza, politica e polizia detengono, e si rubano “il Potere”, imponendolo e soffocando così il libero arbitrio, ma mentre la loro crudeltà rimane invisibile, quella di Alex è  palese; esplicativa, in tal senso, la scena in cui afferra e sposta la visuale della m.d.p./pubblico, obbligandoci, con un memorabile grandangolo, a cambiare prospettiva, a guardare oltre. L’occhio del delinquente fotografa una realtà alterata, che lui crede di dominare, mettendosi al centro dell’inquadratura, o anche rallentando e velocizzando le esplicite scene di sesso. Indimenticabile l’iniziale carrellata indietro nel Korova Milk Bar, che partendo dal bulbo oculare feticcio, trasmette la sensazione che lo spazio filmico voglia invader il reale, e Alex proiettare il suo mondo interiore. Un’opera radicale, estrema, disturbante, esagerata nella forma e nel linguaggio, talmente colorata da dipingere un’umanità kitsch e decadente. Forse anche per questo, ancor oggi è un cult epocale e imprescindibile.

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