Addio al linguaggio - Recensione
Il regista
francese Jean-Luc Godard, a 84 anni suonati, si conferma sperimentatore e
innovatore, con quest’opera che vuole sradicare le convenzioni del Cinema,
sfidandone la Natura attraverso la Metafora. Un’audace sperimentazione, che per
genuina curiosità, mette a zittire tanti giovani talentuosi (o presunti tali)
registi “moderni”; e se qualcuno mette ancora in dubbio la smania cinefila del
maestro JLG, lui diventa cinofilo! Via libera dunque a provocazioni concettuali
e sonore: grandi scritte a tutto schermo, seguite da musica ossessiva,
accompagnate da momenti intimi financo scatologici. L’unico elemento tangibile
in termini di trama, a raccontarlo, sembra l’incipit di una barzelletta: ci
sono una donna, un uomo, e un cane…eppure, l’esito è uno scontro frontale tra
forma e contenuto, con al centro uno spettatore sempre più confuso e trascinato
in un flusso torrenziale d’immagini. Fotogrammi di celluloide si fondono con
filmati digitali: gonfiati, deformati e alterati, da un 3D finalmente
funzionale e geniale, che sovrapponendo più frame crea significato. Forme
uniche o loro versioni alternative, come accade ai protagonisti della querelle
amorosa.
Un film che dice: “oggi tutti hanno paura”, che corpo
e visione sono le armi improprie a uso e abuso dell’essere umano del terzo
millennio, sempre più inconsapevole regista della propria finzione di vita. Non
a caso la protagonista si chiede: "Vivere o raccontare?". Un magma liquido
e pulsante di riflessioni filosofiche, erranti meditazioni e citazioni
artistiche, che travolgono e sorprendono insieme all’imprevedibile montaggio
visivo e sonoro. Godard, non solo nel finale, ma già nei titoli di testa, sulle
note di Lotta Continua ('II potere agli
operai! No alla scuola del padrone! Sempre uniti vinceremo, viva la
rivoluzione!'), sembra dire allo spettatore che deve ritornare sui suoi passi, e
rinascere, per ritrovare immaginazione e stupore. Capolavoro. VOTO 10
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