Father and son - Recensione



Film giapponese vincitore del premio della Giuria al Festival di Cannes 2013. La pellicola è  scritta e diretta da Hirokazu Kore-eda, regista giapponese attivo da più di 25 anni, che ha diretto 16 film, dei quali, purtroppo, solo due arrivati in Italia. L’idea del film nasce al regista quando, costretto a star lontano da casa per lavoro un mese e mezzo, tornato scopre che il figlio di 5 anni mantiene le distanze, e non è più affettuoso. Trama: è la storia di Ryota, giovane architetto di successo, sposato con la giovane Midori, e con un figlio di 6 anni di nome Keita, che vive in un grattacielo a Tokyo e ha un appartamento che sembra uscito da un catalogo di design. La famiglia perfetta, almeno per lui, finche non chiamano dalla clinica in cui aveva partorito la moglie, e gli svelano che c’è stato uno scambio di culla, e che il figlio che ha cresciuto non è il suo. Ryota dovrà scegliere tra legami di sangue e affettivi, cosa deciderà?

Il film ci invita a recuperare un senso più nobile e universale del termine legame, e ci mostra come l'amore sia indifferente al Dna. L’opera è una sorta di romanzo di formazione patriarcale, e lo spettatore si trova ad affrontare, insieme ai personaggi, un percorso introspettivo. La regia è essenziale ma efficace, lascia molto parlare la messa in scena, ed è ricca di simbolismi. Un cinema umanista, carico di emotività, ma senza ricatti emotivi, che stupisce per il pudore con cui racconta i sentimenti. VOTO 7,5

Commenti

  1. Un film davvero interessante, assolutamente da vedere. A me è piaciuto molto l'espediente della macchina fotografica adoperato dal regista: Ryota la utilizza quasi come uno strumento per congelare i momenti, per inscatolare le emozioni, come in una sorta di archivio, ma alla fine sono proprio gli scatti a far uscire le emozioni che Ryota teneva chiuse dentro di sé.

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