Se la strada potesse parlare - Recensione
Primi anni ’70, Harlem, Manhattan. La diciannovenne Tish e il ventiduenne Fonny si
amano e stanno aspettando un bambino. Il ragazzo però viene ingiustamente
accusato di stupro e incarcerato. Quale sarà il futuro di questa famiglia? Il
regista Barry Jenkins reduce dalla sorprendente (?) vittoria dell’Oscar al
miglior film con Moonlight, porta sul grande schermo la trasposizione di un
romanzo del 1974 di James Baldwin. Colori caldi, toni pacati, musica avvolgente.
Il cineasta pone in essere una fascinazione visiva che cattura sguardo e
attenzione dello spettatore. La platea viene rapita e accompagnata nella comfort
zone della nascita di un amore, ma quando si riaccendono le luci in sala
l’illusione svanisce, e ci si ritrova con un pugno di mosche in mano.Tensioni
razziali e familiari, rabbia e ingiustizie, rimangono sullo sfondo sostituite
da un melenso e ingiustificato ottimismo. Attraverso una ricercata composizione dell’immagine,
Jenkins sembra più interessato a fornirci un’estatica visione che una sana riflessione
sulla condizione afro-americana. Rivelatore d’intenti, in tal senso, l’incipit,
nel quale il tragitto che porterà Fonny a un’iniqua carcerazione diventa
un’elegiaca passeggiata a Central Park…Uno stile spiccato nella forma, ma distaccato
nei contenuti, che infatti lascia i suoi personaggi abbandonati a una
sconsolata rassegnazione. E noi con loro. VOTO 5,5
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