Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza) - Recensione

Riggan Thomson (Michael Keaton) è un attore di Hollywood divenuto famoso per aver interpretato il supereroe “Birdman” negli anni '90. Vent'anni dopo è una vecchia celebrità bollita in cerca di riscatto, con un adattamento teatrale a Broadway di “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore” di Raymond Carver. Il protagonista dovrà però vedersela con una troupe problematica, in cui spicca l'egocentrico Mike (Edward Norton) e la figlia Sam (Emma Stone), in crisi post rehab. Una produzione che sembra creata per valorizzare tutti i mestieri, tecnici e artistici, del grande schermo, qui impegnati in un tour de force di virtuosismi, che esprimono tutta la magia della settima arte.

La regia del messicano Alejandro González Iñárritu si muove fluida in lunghi e accurati piani sequenza, che grazie al digitale, sembrano formare un continuum spazio-temporale. “Birdman” è ricco di citazioni cinefile, ma è anche metacinema allo stato puro, che si fa sberleffi dello star system hollywoodiano, svelandone i perversi meccanismi esistenziali, e la pochezza dei suoi blockbuster ipertrofici. Tutto il cast attoriale è da standing ovation, ma mi limito a segnalare la monster performance di Keaton, a cui spero vada un meritatissimo Oscar. Il film spinge l'arte della fabbrica dei sogni ai suoi massimi livelli, e nell'ambiguo finale, che ci nega un esplicativo controcampo, sembra suggerirci che il vero superpotere è nelle mani del pubblico, e nella sua immaginazione. VOTO 8

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