The Hateful Eight - Recensione
Qualche anno dopo la Guerra Civile (1861-65), una diligenza corre attraverso il paesaggio nevoso del Wyoming. Al suo interno il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell) e la sua ultima cattura, la criminale Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). A causa del tempo perso in incontri fortuiti, e per l'arrivo di una tempesta, sono costretti a fermarsi in uno sperduto emporio insieme ad altri loschi figuri. Ognuno di questi otto personaggi è in cerca di qualcosa o qualcuno, e non tutti dicono la verità...La pellicola è divisa in 6 capitoli e può contare su un cast ricco e di fedelissimi all'autore. Esclusi un Tim Roth che fa l'imitazione di Christoph Waltz, e un imbolsito Michael Madsen, il resto degli attori è in gran forma; su tutti J. J. Leigh, finalmente in un ruolo degno del suo talento, e Samuel L. Jackson che rifà il mitico Jules di "Pulp Fiction". Attenzione però, non fatevi ingannare dall'incipit panoramico, con magnifica musica di Ennio Morricone, e non alimentate la visione con false aspettative, perchè nei successivi minuti non troverete un omaggio al classico Western. "The hateful eight" è il film più politico del regista, che invece di far cavalcare la sua istrionica arte tra sconfinate praterie cinefile, rinchiude il suo estro creativo in un cinema da camera, nel quale purtroppo sminuisce il plus formale dell'Ultra Panavision 70 mm.
L'opera si allontana dalla percezione che il grande pubblico ha del cinema più recente di Quentin Tarantino, ma in realtà, ricorda molto il suo esordio con "Le iene": stessa messa in scena e struttura narrativa. Da "Bastardi senza gloria", il regista entra nella Storia come una scheggia impazzita piegandola alla sua visione artistica, qui invece colloca la personale interpretazione nella dialettica estrosa dei suoi personaggi, come nell'esposizione verbale di una battaglia della Guerra di Secessione. Al suo ottavo film, come specifica nei titoli di testa, non manca nulla del Tarantino's touch: ultraviolenza, lunghi (pure troppo) monologhi, momenti gore. La vera novità è il sottotesto provocatorio sui fantasmi che stanno alla base della nascita di una nazione. Il regista impone una claustrofobica esperienza che è ideale allegoria di un'America ancor flagellata dalle tensioni razziali. Attraverso una visione negativa, ma non nichilista, e un crocefisso che invoca misericordia, sembra dirci che siamo tutti sulla stessa barca, pardon carrozza, trainata da cavalli bianchi e neri, ma se le due faccie del razzismo non vogliono smettere di odiare, sono destinate a morire insieme. Un film imperfetto, che con tutti i suoi pregi e difetti, rimane sempre e comunque buon, sano e vecchio cinema. VOTO 7,8 TRAILER
Scheda tecnica
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