Il regno d'inverno - Recensione
Turchia. Nella regione storica della Cappadocia,
famosa per le sue formazioni geologiche, Aydin (Hanuk Bilginer), ex attore,
gestisce l’Hotel Othello, insieme alla giovane e infelice moglie Nihal e alla frustrata
sorella Necla. L’arrivo dell’inverno, avvolgerà i protagonisti in un manto
nevoso e nervoso, e tra spietati dialoghi, e nuove depressioni, dovranno fare i
conti con la loro, vera, natura. Il regista turco Nuri Bilge Ceylan, con questo
titolo ha vinto la Palma D’Oro a Cannes.
La cifra stilistica dell’opera si snoda tra riferimenti letterari (Checov,
Shakespeare), e lunghissime e dense conversazioni in un interno, che ne svelano
la matrice teatrale, sfidando l’attenzione dello spettatore.
Il film dura ben tre ore e un quarto, e non sempre, il lungo minutaggio risulta necessario, appesantendo la struttura del racconto, che si nutre di molte e intense metafore, ma anche di qualche banalità. Un impegno, a tratti gravoso, che viene ricompensato però da una potente e minuziosa indagine sulla fragilità dei rapporti umani e sulla misteriosa complessità della vita. Tra poetici simbolismi, e universali meditazioni, un cinema esistenziale, che certo richiede una visione tenace, ma che meriterebbe un pubblico più ampio. VOTO 7
Il film dura ben tre ore e un quarto, e non sempre, il lungo minutaggio risulta necessario, appesantendo la struttura del racconto, che si nutre di molte e intense metafore, ma anche di qualche banalità. Un impegno, a tratti gravoso, che viene ricompensato però da una potente e minuziosa indagine sulla fragilità dei rapporti umani e sulla misteriosa complessità della vita. Tra poetici simbolismi, e universali meditazioni, un cinema esistenziale, che certo richiede una visione tenace, ma che meriterebbe un pubblico più ampio. VOTO 7
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