Suspiria - Recensione

Berlino, 1977. Susie Bannion (Dakota Johnson) viene dall’Ohio per sostenere un provino con la nota coreografa Madame Blanc (Tilda Swinton). In breve, l’americana diviene protagonista dello spettacolo, ma alcune ballerine spariscono e l’edificio che le ospita sembra custodire atroci verità. Questa nuova versione ha una struttura teatrale, con sei atti e un epilogo, e spartisce con l’originale di Argento solo il soggetto, quindi, non è un remake. Guadagnino dribbla gli stilemi del genere horror anni ‘70, spiazzando i puristi, e rendendo le donne assolute protagoniste. L’iniziale girovagare della macchina da presa è già una dichiarazione d’intenti, di libertà espressiva nei confronti dell’originale. Cut brevi e d’atmosfera, grazie ai quali l’editing diviene linguaggio, e la danza un rituale che mutua corpi e arte. Ne emerge una disturbante esplorazione psicologica. L’orrore della memoria collettiva e il costante scontro generazionale, si rivelano i temi principali. Non a caso l’autore colloca temporalmente il film in un’epoca “esplosiva”: gli anni di piombo. Guadagnino pecca di generosità, riversando nel film tutte (troppe?) le ossessioni meditate per anni, stratificando la narrazione con molteplici elementi: politici, intellettuali, estetici. Eppure, dietro a quest’opera ipertrofica, che richiede più visioni, si cela un horror solenne, un’allegoria femminista, una coraggiosa riscrittura. VOTO 7,5

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