Un mondo fragile - Recensione
Un
uomo, ormai anziano, torna a casa dopo diciassette anni per assistere il figlio
malato. Al suo arrivo, il vecchio Alfonso ritrova l’ombra indurita di quella che un
tempo era la sua sposa, e una nuora e un nipote che non conosceva. La
situazione ambientale è estrema, e l’unica possibilità di sopravvivere è
allontanarsi da quel luogo, ma i legami con la propria terra d’origine sono troppo
forti. I protagonisti abitano in una casa nel mezzo di un mare di canne da
zucchero, che sembra quasi un'isola, e aggiungerei vulcanica, infatti, piove
cenere e al suo interno sgorga un denso magma di pulsanti sentimenti
contraddittori, che inesorabile, brucia ogni speranza. E' una storia di persone
semplici che si confrontano con una dolorosa quotidianità e con i loro fantasmi
emotivi, ma quando cala il sole, quel microcosmo umano si ammanta di un lirismo
notturno e di onirici simbolismi. Delicato e importante, il rapporto che
s'instaura tra nipote e nonno, che solo grazie a piccole cose: un gelato, un
aquilone o una casetta per uccelli, condividono momenti di evasione, vissuti
con pienezza.
A soli 31 anni, il regista colombiano César Augusto Acevedo realizza un'opera prima solida, che dimostra già un'invidiabile profondità di sguardo e un'insospettabile maturità artistico-formale. Questo lungometraggio gli ha fatto conquistare una meritata Camera d'Or al Festival di Cannes 2015. Il lento grandangolo iniziale, che a fine sequenza pone al centro dello schermo la persona, c'indirizza da subito, verso un cinema umanista. Una successiva inquadratura simmetrica, in cui il punto di fuga prospettica è centrale all'interno di una cucina, ci svela una società matriarcale, in cui le donne sono l'anima affettiva ed economica del nucleo familiare. Nel film ogni spazio del fotogramma ha quindi una forte struttura compositiva. Acevedo adotta un codice figurativo neorealista, e incanta con immagini pure e maestose, dal nitore iconografico. L'artista possiede una dialettica potente, che valorizza situazioni minimali, e indaga sfumature psicologiche. Non vedo l'ora di guardare un altro film di questo nuovo talento. VOTO 8 TRAILER
A soli 31 anni, il regista colombiano César Augusto Acevedo realizza un'opera prima solida, che dimostra già un'invidiabile profondità di sguardo e un'insospettabile maturità artistico-formale. Questo lungometraggio gli ha fatto conquistare una meritata Camera d'Or al Festival di Cannes 2015. Il lento grandangolo iniziale, che a fine sequenza pone al centro dello schermo la persona, c'indirizza da subito, verso un cinema umanista. Una successiva inquadratura simmetrica, in cui il punto di fuga prospettica è centrale all'interno di una cucina, ci svela una società matriarcale, in cui le donne sono l'anima affettiva ed economica del nucleo familiare. Nel film ogni spazio del fotogramma ha quindi una forte struttura compositiva. Acevedo adotta un codice figurativo neorealista, e incanta con immagini pure e maestose, dal nitore iconografico. L'artista possiede una dialettica potente, che valorizza situazioni minimali, e indaga sfumature psicologiche. Non vedo l'ora di guardare un altro film di questo nuovo talento. VOTO 8 TRAILER
Scheda tecnica
titolo
originale
|
La tierra y la sombra
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genere
|
drammatico
|
anno
|
2015
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nazionalità
|
Colombia
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cast
|
Haimer
Leal, Hilda Ruiz, Edison Raigosa
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regia
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César
Augusto Acevedo
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durata
|
97'
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sceneggiatura
|
César
Augusto Acevedo
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