Apocalypse Now - Capolavoro
Siamo a Saigon nel 1969, e al tenente Willard (Martin
Sheen), già provato da precedenti azioni militari, è assegnato il compito di
ritrovare e uccidere il colonnello Walter E. Kurtz (Marlon Brando), disperso nella foresta cambogiana. L’ex ufficiale è
impazzito, e trasmette via radio, dalla giungla, messaggi deliranti; ha inoltre
messo in piedi una sua truppa, composta sia da nativi che soldati. Storia ispirata,
molto liberamente, da "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, pubblicato
nel 1902, che viene qui trasgredito a favore di una visione moderna e personale,
dal grande John Milius. Impresa monumentale compiuta da Francis Ford Coppola nel 1979, che si avventura in uno sforzo
produttivo autolesionista – dall’enorme budget – che lo trascina in un limbo
depressivo-distruttivo, al pari dei suoi protagonisti. Da questo film in poi, il
regista italo-americano non sarà più lo stesso, e nemmeno il valore delle sue
pellicole; come se tutta l’indomita creatività e il geniale intuito fossero
stati risucchiati, per sempre, in quest’opera omnia, che ingloba l’intero suo
talento.
AN è stato girato nelle Filippine, impregnandosi di un
vissuto estremo ma anche di filosofie orientali, che nel viaggio all’inferno
attraverso il fiume Mecong, porta alla rovina i tre stadi
dell’essere e del divenire: corpo, mente e
spirito. Attraverso una seminale riflessione sulle efferate
pulsioni colonialiste e l’insaziabile cultura consumistica occidentale (la
citazione di Disneyland), l’obiettivo di regista e personaggi è: “Porre
fine. Senza scrupoli di sorta” (cit.), alla produzione/missione e alle
cicatrici, ancora aperte nel tessuto sociale U.S.A., provocate dalla guerra in
Vietnam. Una proiezione che diventa esperienza evocativa e ipnotica, attraverso
il personaggio feticcio di Kurtz, simbolo di decadenza psico-fisica e
insensatezza, contrapposto a Willard, emblema di una società “civile” allo
sbando, ma anche di malinconia e/o dissociazione verso un passato recente, e i
suoi spettri. Un allegoria horror dall’irruente forza espressiva e canto di morte della lost generation, che trascina lo
spettatore nell’inferno del conflitto, intrappolandolo in un quadro grottesco
dal forte impatto emotivo. Capolavoro oscuro e sfuggente, forgiato in uno stato
d’ineluttabile pessimismo e sospensioni allucinatorie, gravido di suggestioni
spettacolari (il famoso “assalto wagneriano” degli elicotteri) ed esistenziali,
che racconta le contraddizioni del cammino di un anti-eroe e chiude, in stato
di grazia, l’era della "New Hollywood": gli anni ’70. Il film di
guerra più bello della Settima Arte.
Commenti
Posta un commento