The tribe - Recensione
Produzione Ucraina
del 2014, e opera prima del regista quarantenne, dal cognome impronunciabile, Myroslav
Slaboshpytskkiy. Il film racconta la vita degli studenti di un istituto per
sordomuti, tutti interpretati da attori non professionisti, che vivono con
questa condizione anche nella realtà. Non aspettatevi però buonismo sociale e
facili pietismi, perché i ragazzi passano le loro giornate perpetrando le
peggiori azioni criminali, tra furti, prostituzione, aggressioni, in un crescendo
di violenza, estremo e senza filtri. La novità, e la grandezza di “The tribe”,
non risiedono però in questo, ma nell’idioma filmico scelto: tutta la pellicola
è recitata solo ed esclusivamente nel linguaggio dei segni, senza sottotitoli, né
voice-over a spiegarne il significato. Se non fosse per il sonoro, ma è assente
anche una colonna musicale, si potrebbe tranquillamente paragonare a un film
muto. Avrete quindi capito che si tratta di un’opera innovativa, che costringe
lo spettatore a prestare la massima attenzione a ogni piccolo gesto,
espressione e rumore. Per comprendere è necessario quindi esercitare una sana
visione attiva. Slaboshpytskkiy realizza un debutto folgorante, grazie a un’ottima
padronanza tecnica, che impressiona con lunghi e meravigliosi piani sequenza,
inquadrature fisse che hanno la densità e la profondità delle migliori
fotografie, e l’inusuale rifiuto del primo piano, tipico dei film di denuncia.
La Steadicam pedina i protagonisti, tra degrado e brutalità,
con uno sguardo sempre fermo e lucido, abbattendo barriere e stereotipi, e restituendo
ai personaggi tutta la complessità presente in ogni essere umano. Unica
perplessità: l'insistita crudezza di alcune sequenze shock, la cui
incoerenza stilistica col resto del girato, mi ha lasciato col sospetto si
volesse più disturbare che denunciare. Un’esperienza sensoriale, in cui la
totale assenza del linguaggio verbale genera un’assoluta immersione visiva, in una
realtà dura, fatta di sopraffazione e in cui vige/vince la legge del più forte.
Un film dal sunto amarissimo, che rinchiude lo spettatore all’interno di questo
spietato mondo, trasferendogli un tangibile senso di emarginazione e obbligandolo
a confrontarsi con i corpi umiliati di chi ha proprio nel corpo l’unico
strumento per comunicare. VOTO 7,5
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