Le lacrime amare di Petra von Kant - Capolavoro
Film
tedesco del 1972, diretto dal compianto e troppo spesso dimenticato Rainer Werner Fassbinder, e tratto da un suo dramma teatrale. Storia: Petra (Margit Carstensen) ha 35 anni, ed è una stilista di
moda che vive con la remissiva domestica tuttofare Marlene. Un giorno conosce
la giovane e squattrinata Karen (Hanna Schygulla) e se ne innamora. Sarà
l’inizio di un amour fou, le cui dinamiche relazionali, sono le stesse di un crudele
rapporto di potere, tra dominante e dominato. Quella cui si assiste è una
strage dell’Io, perpetrata dalle perverse gerarchie di un triangolo, che non
tollera lo scambio dei ruoli, che pure avviene, ma con conseguenze distruttive.
Il film è cinema da camera, che volutamente sottolinea la sua origine da pièce,
sia nella messa in scena e nella recitazione artificiosa, che nel finale in cui
si spengono le luci e l’inquadratura è ad “altezza palco”, e noi spettatori ci
sentiamo in platea. La vera unicità della pellicola risiede però nel talento
del regista d’impreziosire ogni singolo frame all’interno di un’angusta stanza.
Vi è un uso strumentale della cinepresa, la cui presenza è tangibile, risultando
così meno funzionale ed empatica per chi guarda, ma capace di restituire appieno
lo sguardo oggettivo dell’autore. Fassbinder
sfrutta ogni elemento della scenografia, attori e costumi compresi, non per
rincorrere un vuoto manierismo estetizzante, ma per svelare la natura delle sue
protagoniste, distillare la verità dietro la menzogna della finzione, e il significato di cui è intrisa
l’immagine.
Ad esempio: il soppalco di un mobile diventa l’ideale piano divisorio di un fotogramma, svelando la separazione (in verticale) o la sottomissione (in orizzontale), il letto centrale simboleggia passione e/o prigione in un continuo flusso destabilizzante, una parete dipinta con riproduzione di "Mida e Bacco" di Nicolas Poussin è il perfetto proscenio di rigorosi tableaux vivants dall’amaro sapore esistenziale. Ogni posizione di ripresa (lo specchio crea simbolismi ma è anche contocampo) o gesto (la mano su una finestra), compongono un quadro concettuale, che fissa uno stato d’animo, un desiderio di possesso, una perdita inaccettabile. Questa chiave di lettura è il segreto di un’opera rara e incantevole, ma anche il modo attivo per vivere la proiezione di quello che altrimenti, a una visione superficiale, potrebbe sembrare solo teatro filmato dai lunghi ed esasperanti dialoghi. Un melodramma di sole donne, dagli esagerati cromatismi, volutamente kitsch, e dalla sublime e sconfinata ricchezza visiva, nella cui traduzione risiede tutto il fascino di un capolavoro senza tempo.
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