Foxcatcher - Una storia americana - Recensione
1984. I fratelli Schultz,
Dave (Mark Ruffalo) e Mark (Channing Tatum), vincono la medaglia d’oro alle
olimpiadi, tre anni dopo si ritrovano squattrinati ad allenarsi per Seoul ‘88, in
una piccola palestra di provincia. Inattesa, ricevono l’offerta di creare un
team di lottatori dal miliardario e filantropo John du Pont (Steve Carell),
che scopriranno a loro spese, essere solo, frustrato e depresso. Biopic basato
su una storia vera ambientata tra il 1987 e il 1996, tanto magistrale quanto
disperato. Una parabola umana, cronologica eppur irregolare, in cui si fondono
sport e psicologia, e proprio la caratterizzazione dei protagonisti è il punto
forte della pellicola.
L’incontro di due fragilità, che anziché unirsi e
aiutarsi, si esasperano, sfociando in atteggiamenti morbosi e inquietanti, che
danno luogo a un rapporto malato a tratti ambiguo. Si avverte, tangibile, una
repressione emotiva, ma forse anche sessuale, tra prese che sembrano reclamare
affetto, e corpo a corpo più interiori che da tappeto. Tre personaggi in cerca
di riscatto, il cui animo umano sarà schiacciato proprio da quell’ansia da
successo, figlia dell’american dream. Uno sport-movie che diventa dramma
esistenziale, e tragica cronaca, svelando una lenta ma inesorabile discesa
negli inferi della psiche, e di uno spietato capitalismo, convinto di potersi
comprare tutto, anche l’amore. VOTO 7+
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