I cancelli del cielo - Cult
1890, Wyoming. L'associazione
degli allevatori di bestiame, con la complicità del governo, per contrastare l’immigrazione,
crea una lista di 125 stranieri da eliminare. Allo scopo, assoldano anche un
gruppo di mercenari, tra cui Nate Champion (Christopher Walken). Lo sceriffo
della contea James Arenll, (Kris Kristofferson), innamorato della prostituta
francese Ella, (Isabelle Huppert), organizzerà la controffensiva, aiutato anche
da John (un giovane Jeff Bridges). Western
scritto e diretto nel 1980 da Michael Cimino, fresco vincitore agli Oscar con
“Il cacciatore”. Il film è prodotto dalla major United Artist, che lasciò al noto regista completa libertà creativa,
sperando di bissare il successo della precedente opera. Di fatto, “I cancelli
del cielo”, entrò di diritto nella
storia del Cinema, purtroppo come disastro, sia commerciale, causando il fallimento della casa di
produzione, che artistico, collezionando stroncature e una pubblica ammissione
di colpa del regista. Cimino rimontò anche il film in fretta e furia, togliendo
più di un’ora, e ottenendo una nuova distribuzione, purtroppo con eguali esiti
nefasti. Bollato come peggior flop di
sempre, e ormai con la fama di film
maledetto, fu definitivamente ritirato.
In Europa, però, nel 1982, è presentata a Cannes la versione originale di 220 minuti, e da lì inizia una lenta riabilitazione dell’opera, che pian piano lo trasformerà in un cult assoluto. Nel 2012, viene presentata alla Mostra di Venezia la versione restaurata in digitale, con correzioni anche della traccia audio, che è quella da me visionata. Devo dire che, a distanza di anni dall’insuccesso tout court, il lavoro di Cimino è stato eccessivamente bistrattato. Certo, i difetti rimangono, la storia è appesantita da qualche lungaggine, non sempre i dialoghi sono all’altezza, e il ritmo spesso ne risente, ma quella che all’epoca fu interpretata come arroganza, a mio avviso è generosità, di un’artista ancora innamorato di un cinema old style, dall’ampio respiro epico. Un’opera spartiacque, che affondò il vecchio sistema produttivo di Hollywood, fatto di monumentali scenografie e maggior liberta creativa, raccontando una delle pagine più buie del sogno americano. Ironia della sorte.
In Europa, però, nel 1982, è presentata a Cannes la versione originale di 220 minuti, e da lì inizia una lenta riabilitazione dell’opera, che pian piano lo trasformerà in un cult assoluto. Nel 2012, viene presentata alla Mostra di Venezia la versione restaurata in digitale, con correzioni anche della traccia audio, che è quella da me visionata. Devo dire che, a distanza di anni dall’insuccesso tout court, il lavoro di Cimino è stato eccessivamente bistrattato. Certo, i difetti rimangono, la storia è appesantita da qualche lungaggine, non sempre i dialoghi sono all’altezza, e il ritmo spesso ne risente, ma quella che all’epoca fu interpretata come arroganza, a mio avviso è generosità, di un’artista ancora innamorato di un cinema old style, dall’ampio respiro epico. Un’opera spartiacque, che affondò il vecchio sistema produttivo di Hollywood, fatto di monumentali scenografie e maggior liberta creativa, raccontando una delle pagine più buie del sogno americano. Ironia della sorte.
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