La tartaruga rossa - Recensione
Tra i flutti grigi di un mare in tempesta, e sotto
minacciose nuvole carboncino, si staglia il destino di un naufrago. Giunto in
un’isola deserta l’uomo tenterà di sfuggirne. A impedire ogni fuga del
malcapitato la testuggine del titolo. In quest’Eden naturale e cinematografico
si torna agli albori del muto, e ogni azione è scandita da musica e rumori, mai
da dialoghi. Un’idea di cinema che sembrava smarrita e dimenticata, e che qui
ritorna in tutta la sua fragorosa potenza emozionale. Il film è, inoltre, un vero
e proprio esempio di World Cinema, che vede la collaborazione di occidente e
oriente. Una produzione raffinata, unita dall’unico linguaggio comune, quello
del silenzio. Lo Studio Ghibli capitanato da Hayao Miyazaki, in artistica
sinergia col cineasta olandese Michael Dudok de Wit, danno forma a un’avventura
universale.
La combinazione di talenti e intenti convive, infatti,
in poetico equilibrio, sospesa fra i mille silenzi immersi nel ciclo della vita.
La tartaruga rossa è quindi un perfetto ibrido, che nel character design
ricorda l’animazione francofona (vedi Tin Tin), ma nei background e nelle
cromie rimanda a opere nipponiche. Ad esempio, il verde della vegetazione mi ha
ricordato “La storia della principessa splendente” di Isao Takahata, che guarda
caso in questo progetto riveste il ruolo di “produttore artistico”. Fra suggestioni
oniriche e narrazione mitica va in scena la simbiosi tra uomo e natura; la
madre di tutte le cose che avvolge e stravolge piani di vita e punti di vista. Un
affascinante viaggio alle origini dell’umanità e del cinema, che rapisce e
colpisce con tutta l’essenziale forza dell’immagine e del suono. Un raro e prezioso
gioiello da custodire tra cuore e memoria. VOTO 8/9 TRAILER
Scheda tecnica
titolo originale La tortue rouge
genere animazione, drammatico
anno 2016
nazionalità Francia, Belgio, Giappone
regia Michaël Dudok de Wit
durata 80'
sceneggiatura Michaël Dudok de Wit, Pascale Ferran
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