Io, Daniel Blake - Recensione
Gran Bretagna, Daniel è un vedovo alla soglia dei sessant’anni che, reduce da un infarto, cerca l’aiuto dello Stato per tirar a campare. Una “professionista della sanità” però, nega a Blake il sussidio di disoccupazione, e lo obbliga a cercarsi un lavoro. L’ex carpentiere dovrà scontrarsi con funzionari statali intimidatori e un sistema totalitario che calpesta i suoi diritti. Ken Loach rifà se stesso, e a 80 anni si conferma un maestro dallo stile asciutto e tradizionale, avverso all’evoluzione. La granitica coerenza di un autore da sempre dalla parte dei più deboli è il maggior pregio del film, ma anche il suo più grande limite. Chi conosce le sue opere si ritroverà condotto per strade già battute, e dinanzi a una visione abbastanza prevedibile. Gli schemi, seppur presenti, non ingabbiano il vigore artistico di un regista che non si limita a denunciare ma, da sempre, lotta a muso duro contro la freddezza dei diabolici ingranaggi della burocrazia statale e l’indifferenza social