Big Eyes - Recensione
Il film parla della vera storia dei coniugi Keane, Margaret (Amy Adams) e di suo marito Walter (Christoph Waltz), diventati famosi negli anni ’60 per i quadri che raffiguravano dei bambini dai grandi occhi. Una volta divorziato, però, i due ingaggeranno una spietata battaglia legale per veder riconosciuta la paternità delle opere. Chi sarà il vero autore? Un film dall'alto potenziale, ma poco ispirato, dove si faticano a trovare le tracce della poetica burtoniana; le rare occasioni vengono offerte da quell'immaginario anni '50-'60 a cui da sempre è legato il regista, dal giro in un grottesco supermercato e da qualche scenografia espressionista.
Il comparto tecnico è ottimo, ma la sceneggiatura appare spesso indecisa sul registro da sposare. I personaggi secondari sono molto pittoreschi ma poco caratterizzati, e si finisce per sprecare un grande attore come Terence Stamp (sic!). Diverso discorso per i protagonisti: la performance di Christoph Waltz appare sovente sopra le righe, mentre quella di Amy Adams è più controllata, ma ricca di sfumature. Un'opera che di fatto rinnega le atmosfere dark e visionarie dell'autore più freak di Hollywood, e che aldilà di una onesta riflessione sulla serialità e mercificazione dell'arte, si chiude in modo sbrigativo, lasciando l'amaro in bocca. Ironia della sorte, è una produzione che ha lo stesso spessore artistico dei quadri su commissione: tanto colore, poca anima. VOTO 5/6
Il comparto tecnico è ottimo, ma la sceneggiatura appare spesso indecisa sul registro da sposare. I personaggi secondari sono molto pittoreschi ma poco caratterizzati, e si finisce per sprecare un grande attore come Terence Stamp (sic!). Diverso discorso per i protagonisti: la performance di Christoph Waltz appare sovente sopra le righe, mentre quella di Amy Adams è più controllata, ma ricca di sfumature. Un'opera che di fatto rinnega le atmosfere dark e visionarie dell'autore più freak di Hollywood, e che aldilà di una onesta riflessione sulla serialità e mercificazione dell'arte, si chiude in modo sbrigativo, lasciando l'amaro in bocca. Ironia della sorte, è una produzione che ha lo stesso spessore artistico dei quadri su commissione: tanto colore, poca anima. VOTO 5/6
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