Vita di Pi - Recensione
Pi, interpretato dal debuttante Suray Sharma, è un ragazzo indiano, che
con la famiglia, proprietaria di uno zoo, decide di emigrare in Canada, con
animali al seguito. La nave giapponese su cui viaggiano però affonda, e Pi si
ritrova a convivere/condividere scialuppa e oceano con una tigre di nome
Richard Parker. Ang Lee traduce per lo schermo l’omonimo best seller di Yann
Martel, impresa fino ad oggi considerata impossibile, sia per leggi del cinema
(mai insieme bambini, animali e acqua!) che per gli effetti digitali necessari,
figuriamoci in 3D. Un progetto, quindi, ambizioso, che, come già in altre sue
opere (vedi “La tigre e il dragone”), il regista taiwanese, costruisce su un
magico equilibrio tra forma e contenuto, senza dimenticare lo spettacolo.
Il risultato è un ibrido, come il suo protagonista, che rifugge le
convenzioni abbracciando più religioni, e mette in discussione regole e ruoli
della natura umana e animale. Un film delicato ma sontuoso, che rappresenta una
riuscita contaminazione tra filosofie orientali e tecnologie occidentali,
condito da dialoghi densi e ricchi di significati. Un’opera completa, che
intrattiene creando una magica dimensione, e regala immagini magnifiche, come
nel gioco di specchi tra mare e cielo, in cui si riflettono anche corpo e
anima. VOTO 7+
finalmente l'ho visto.mi è piaciuto, molto, e mi ha sorpreso non poco.mi ha lasciato una bella sensazione a fine film, la stessa che ho provato con hugo cabret.
RispondiEliminaSono d'accordo, un'opera delicata ma non debole, dalle molteplici sfumature, che provoca gioia agli occhi di chi ama il cinema e ha gusto per i dettagli.
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